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Le elezioni presidenziali americane dello scorso 5 novembre hanno un chiaro vincitore sia del voto popolare che dei grandi elettori, necessari per l’elezione: Donald J. Trump. Il magnate americano viene rieletto per una seconda volta non consecutiva alla Casa Bianca, il secondo nella storia a riuscirci dopo Grover Cleveland, nel 1893. Un risultato inatteso secondo i principali sondaggisti internazionali, che davano una competizione aperta ma a favore della sfidante e attuale vice-presidentessa, Kamala Harris. I Repubblicani hanno anche guadagnato la maggioranza assoluta dei seggi al Senato1, ottenendo almeno 52 seggi su 100, assicurando in questo modo che Trump possa indicare, ad esempio, persone a lui vicine in posizioni chiave nel personale di governo o i giudici della Corte Costituzionale. Per quanto riguarda la Camera dei Rappresentanti, la corsa è ancora tutta da decidere in quanto mancano molti collegi uninominali il cui esito è ancora “too close to call”, cioè dove non c’è un chiaro vincitore a inizio spoglio, e la maggioranza sarà probabilmente decisa all’ultimo quando tutti i distretti saranno decisi definitivamente e i voti saranno tutti contati. Purtroppo, però, a differenza di quanto si possa intuire, la maggioranza assoluta non permetterà ai Repubblicani di avere molta influenza sulle politiche pubbliche del Paese. Infatti, il sistema legislativo americano è piuttosto complesso tanto che la letteratura politologica2 è abbastanza concorde nel dire che il processo legislativo è spesso in stallo e le leggi approvate dal Congresso sono spesso bipartisan. Perciò, siccome i Repubblicani non otterranno i 60 seggi al Senato che sono necessari per superare e fermare la pratica del “filibustering”3, la legislazione sarà, con tutta probabilità, mediata da una parte del partito Democratico, che dovrà acconsentire alle legislazioni proposte dai Repubblicani. Il filibustering è una pratica che nei sistemi Parlamentari Occidentali non esiste, anzi, spesso nei nostri sistemi è proprio il contrario, in quanto i nostri Deputati hanno un limite di tempo prestabilito per i loro interventi. Negli USA, i Senatori hanno la possibilità di intervenire per un tempo illimitato e questo è spesso utilizzato per rimandare o bloccare legislazioni altamente divisive nel Congresso. Alla luce di questa considerazione, l’esito e l’effetto delle elezioni americane, sul cambiamento di politica interna ed estera, è da rimodulare rispetto ai principali media nazionali italiani che già danno per scontato un cambiamento netto ed importante dell’assetto americano. Questo radicale cambiamento è, perciò, improbabile anche se l’influenza soprattutto in termini di soft power e nelle parole utilizzate dal presidente del più importante Stato del mondo avranno sicuramente i loro risvolti nella politica internazionale, basta pensare alle personalità che hanno esaltato l’elezione di Trump.

Ritornando, però, all’analisi dell’elezione in sé, ci sono diversi aspetti interessanti da considerare. Uno di questi è sicuramente il record in termini di rappresentanza descrittiva4 che il Congresso Americano raggiunge. Sotto questo aspetto, infatti, i Democratici eleggono al Senato per la prima volta nella storia un* Senator* transgender. Il Senato avrà anche due donne nere tra i suoi banchi, anche questo un risultato storico per l’America. Ed è proprio sul solco della rappresentanza descrittiva che le due campagne presidenziali hanno preso forma. Da un lato, Harris ha provato a rappresentare e vincere il voto delle donne, ponendo molta enfasi sul suo essere donna e sulla capacità di rappresentarle in temi chiave, su cui Trump aveva un’opinione contrapposta, come l’aborto. Infatti, il tema dell’aborto in America è tornato in auge ed è diventato molto saliente, soprattutto tra le persone di genere femminile, dopo il ribaltamento della sentenza storica di Roe vs Wade nel 2022, poco prima della vittoria di Biden alle elezioni presidenziali, che però non è stato in grado di far passare una legge sull’aborto una volta eletto. La candidata democratica ha anche provato a consolidare la base elettorale giovanile, ultimamente particolarmente favorevole in tutto il mondo a partiti sensibili a temi ambientali o dei diritti civili, attraverso la promessa di legalizzare la cannabis o di migliorare l’equità etnica, sostenendo apertamente leggi nate dal movimento di protesta Black Lives Matter. Sotto il profilo etnico, Harris godeva di un vantaggio intrinseco dato dalle sue origini che avrebbe dovuto avvantaggiarla sul voto delle minoranze etniche, che in America costituiscono gran parte della classe lavoratrice e produttiva del Paese. A livello economico, così come in altri capitoli quali l’ambiente, il controllo delle armi o la politica estera, Harris non è riuscita ad esprimere posizioni chiare all’elettorato, cosa che invece è riuscita al suo avversario. Harris è sempre rimasta con posizioni poco chiare, soprattutto su temi che dividevano il suo partito, provando al contempo a strizzare l’occhio all’elettorato di destra americano con promesse da “foglia di fico” attraverso frasi e comunicazioni miste, come testimonia la sua dichiarazione di possedere una Glock. La campagna democratica su molti temi è stata vista come ingessata, incapace di prendere una posizione e, quindi, di dare al Paese una direzione di governo. Da un punto di vista politologico, invece, questo è stato un chiaro tentativo del team di Harris di provare a raggiungere e convincere nuovi elettori tradizionalmente repubblicani in stati chiave per l’elezione. Oltre a quello c’era la necessità di tenere unito un partito che sul tema della guerra in Palestina o sulle politiche climatiche vedeva due visioni contrapposte, basti pensare all’incredibile dispendio monetario da parte di gruppi vicini a Israele per battere candidati che chiedevano a Harris lo stop all’invio di armi a Israele, condannando apertamente il genocidio o alla sua difficoltà di rispondere ad uno stop alla pratica del “fracking”.

Dall’altro lato, la campagna di Trump è sicuramente stata più movimentata e accesa di quella della controparte, non fosse per i due tentati omicidi che ha subìto e le controversie legate alle questioni giuridiche che ha dovuto affrontare. Su quest’ultimo punto, Trump è sempre stato chiaro agli americani, rivendicando l’attacco al Campidoglio del 6 Gennaio 2021 e promettendo l’amnistia per coloro che vi parteciparono, sostenendo che le elezioni fossero state rubate da entità non chiare, utilizzando una famosa strategia elettorale, cioè quella delle teorie del complotto, utilizzata anche da politici a lui affini in altri parti del mondo, come Orban in Ungheria o il Pis in Polonia. Ha utilizzato tutti questi attacchi giudiziari in maniera molto simile a Berlusconi5, sostenendo che lui fosse “perseguitato politicamente” e che il Partito democratico fosse corrotto, così come la sua candidata. Temi di valenza, come spesso nelle campagne elettorali in Occidente, hanno dunque contribuito alla vittoria dei Repubblicani che si sono dimostrati uniti, chiari e coerenti sulle politiche da attuare una volta al governo, penalizzando invece Harris. Non solo questo però, sulle tematiche Trump è riuscito a ottenere voti chiave, basta mettere in correlazione i voti ottenuti nei referendum (contestuali) per l’aborto nei vari Stati con i voti per i Repubblicani. Maggiori sono i consensi per i referendum pro aborto, minori i consensi per Trump.

Se guardiamo, invece, le politiche climatiche, il mantra “drill, baby, drill” ha sicuramente fatto breccia in un Paese la cui produzione di Oil&Gas è stimata oltre i 70 miliardi di dollari. Il negazionismo climatico mischiato con la paura della perdita dei posti di lavoro, a cui si aggiungono le crisi mondiali di alcuni settori economici come l’automotive, ha sicuramente dato a Trump terreno fertile per far attecchire le sue dichiarazioni di sviluppo economico anche a costo di gravi danni ambientali. L’elettorato americano, però, a onor di cronaca, è in buona compagnia secondo la letteratura politologica, che da anni ormai continua a trovare evidenze che messaggi di questo tipo fanno breccia soprattutto nella classe media che vede diseguaglianze economiche sempre più forti. I partiti di estrema destra in tutta Europa, da anni, hanno infatti iniziato campagne per canalizzare e politicizzare questa paura, trovando il nemico perfetto nelle politiche di contrasto al cambiamento climatico. Il presidente eletto è stato, guardando i risultati, più efficace nella sua narrazione anche sui temi di politica internazionale, dove si è presentato come il candidato che non ha fatto guerre ma che le ha risolte, e che con le sue amicizie sarà in grado di ricostruire la pace in Ucraina. Sul fronte Palestina, invece, famosa è diventata la frase pronunciata da Trump in un ristorante libanese durante la campagna elettorale in cui diceva che il Medio Oriente avrebbe ottenuto la pace, ma “senza questi clown che governano l’America oggi”. Questo, in combinazione ad una posizione di totale supporto dell’amministrazione Democratica al progetto di guerra di Netanyahu, ha reso Trump un candidato votabile per gran parte delle comunità arabe e musulmane americane, andando ad intaccare una constituency elettorale storicamente democratica. Se a questo ci aggiungiamo una campagna di odio verso le minoranze LGBTQIA+ e gli immigrati, la pozione magica per vincere è fatta. 

Alla luce dell’analisi delle campagne elettorali, infatti, pare chiaro come possono essere i pattern di voto che hanno determinato l’esito delle elezioni. Se da una prima analisi preliminare pare che non ci sia stato un effetto preponderante dell’astensione, in quanto è a livelli simili al 2020, allora è ancora più evidente come la campagna di Trump abbia convinto elettori che le scorse tornate avevano votato democratico.

Se guardiamo i trend di voto, ci rendiamo conto che sono abbastanza standard. I Repubblicani vincono nelle aree rurali, tra coloro in età lavorativa, mediamente meno istruiti, bianchi e tra i maschi. Se, però, confrontiamo questi dati con quelli del 2020 e prendiamo in considerazione le campagne elettorali, capiamo come Trump sia stato in grado di convincere grandi parti di minoranze latinos (impressionante sono i dati di alcune contee del Texas, a stragrande maggioranza latina, dove Trump vince e in 8 anni si ribaltano completamente i voti tra Democratici e Repubblicani), mentre Harris fatichi tra le comunità arabe che preferiscono votare Trump (non in maniera massiccia, e qui pesano le sue posizioni di politica interna sui migranti) astenersi o votare per altri candidati (come Jill Stein dei Verdi). Al-Jazeera ha più volte riportato i sentimenti di queste comunità in America che si sono sentite tradite dai propri rappresentanti al Congresso e da Biden, per le sue posizioni di politica estera. Pare chiara, quindi, la scelta di queste comunità che si sono sentite tradite e inascoltate da chi avevano votato e in cui avevano riposto speranze e fiducia. Considerando anche che, spesso per questioni demografiche, le comunità etniche rappresentano una grande fetta del nuovo elettorato, così come i giovani in generale, il loro voto è decisivo in sistemi polarizzati come gli Stati Uniti. Molti hanno discusso anche del voto giovanile, che sta sempre più guadagnando spazio nei media e nella discussione accademica. Ebbene, i giovani confermano i pattern di voto internazionali: favoriscono candidati progressisti, e così hanno votato per la maggioranza per Harris, anche se Trump è riuscito a guadagnare parte della loro fiducia. Certo è che il voto giovanile si caratterizza per un effetto ciclo della vita, quindi è facile comprendere i motivi che hanno portato i giovani a supportare Trump maggiormente rispetto al solito. Probabilmente, anche se servirà qualche anno per stabilirlo, da una prima superficiale analisi, le posizioni radicali di Trump e, al contempo, la timidezza di Harris su alcune questioni chiave per le giovani generazioni, hanno dato questo esito elettorale. Se invece guardiamo i dati a livelli aggregati degli ultimi 8 anni è semplice notare un chiaro e significativo spostamento a destra/conservatrici nelle posizioni dell’elettorato dei vari Stati americani. Un dato preoccupante con cui i democratici dovranno fare i conti se vogliono riaprire la partita per ottenere le chiavi dell’Ufficio Ovale.

In sostanza, le elezioni si sono dimostrate ancora un campo altamente competitivo e strategico, dove attori altamente sofisticati hanno dimostrato di saper contendersi il voto di milioni di elettori tutt’altro che semplici e ingenui, nel Paese più influente del Mondo. Gli effetti di questo cambio alla guida della prima superpotenza globale li vedremo nei prossimi anni e potremo valutarli solo ex-post. Certamente, la democrazia americana si è dimostrata resiliente e non sull’orlo del collasso, come molti osservatori avevano temuto, grazie alle dichiarazioni di Harris che ha confermato di accettare pacificamente il passaggio di consegne e l’esito delle elezioni, con un chiaro riferimento al 6 Gennaio 2021 e un attacco alle derive autoritarie del Presidente eletto. Al netto di considerazioni in politica interna, chiunque di noi, anche se nutrendo molti dubbi, si augura che la nuova Presidenza americana sia in grado di porre fine ai conflitti aperti e sostenuti dal complesso militare americano che già aveva messo in difficoltà Eisenhower nel secolo scorso. 

 

Note

1 Anche se non tutti i distretti sono stati chiusi al tempo di scrittura.
2 Si veda “Divided We Govern” (1991) di David Mayhew o “Pivotal Politics” (1998) di Krehbiel per maggiori approfondimenti sul tema del processo legislativo nel Congresso Americano.
3 Per un esempio di filibustering si rimanda a “The Speech: A Historic Filibuster on Corporate Greed and the Decline of Our Middle Class” di Bernie Sanders.
4 Per rappresentanza descrittiva si riferisce alla somiglianza tra le caratteristiche socio-demografiche di un rappresentante e quelle della popolazione rappresentata. Si basa sull’idea che i rappresentanti eletti dovrebbero riflettere, per quanto possibile, le caratteristiche della società in termini di genere, etnia, classe sociale, religione, età.
5
L’ex Presidente del Consiglio Italiano ha per anni fatto campagne contro le cosiddette “toghe rosse”, cioè la magistratura che lo attaccava e lo processava, secondo le sue ricostruzioni, poiché affine al centrosinistra.