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Il 15 febbraio 2024 il Senato ha approvato il disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Protocollo Italia-Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, concordato tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo omologo albanese Edi Rama.

Cosa prevede l’accordo?

La struttura verrà gestita dalla Cooperativa Medihospes che si è aggiudicata l’appalto. Si tratta di un’azienda italiana non estranea a questioni giuridiche legati alla migrazione; infatti, il suo presidente è stato sotto inchiesta per abuso di fondi pubblici e mala gestione di alcuni centri di detenzione per migranti.

L’accordo prevede che l’Albani ospiti piattaforme di sbarco per persone intercettate durante attraversamenti non autorizzati dei confini e soccorsi in mare dalle autorità italiane.

In particolare, sono state costruite due strutture: la prima, situata a Shëngjin (nord-ovest del paese), un hotspot per l’identificazione dei migranti attuato dagli agenti Frontex. La seconda è situata più a nord rispetto alla prima, precisamente a Gjadër, e suddivisa in tre strutture diverse: un centro di permanenza per i richiedenti asilo (880 posti), un centro per il rimpatrio, altrimenti chiamato CPR, per coloro che non intendono fare richiesta di asilo oppure che l’hanno fatta ma è stata dichiarata inammissibile (144 posti) ed infine un centro penitenziario per coloro che dovessero commettere reati durante la permanenza (20 posti).

All’interno della struttura la giurisdizione sarà quella italiana, mentre all’esterno quella albanese.

La richiesta di Asilo

Una volta detenuti all’interno del centro di permanenza i migranti potranno depositare la richiesta d’asilo, che verranno esaminate a distanza dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale presso il Tribunale di Roma.

Visto il forte isolamento dei detenuti sarà per loro molto difficile trovare degli avvocati di fiducia e gli avvocati d’ufficio vengono assegnati senza prima certificarne la competenza specifica in materia migratoria. Le udienze e le interlocuzioni con gli avvocati avverranno esclusivamente da remoto, una modalità che renderà difficilissimo il rispetto del diritto alla difesa di queste persone, che di fatto quindi risulta essere garantito solo sulla carta.

Coloro a cui verrà respinta la domanda d’asilo verranno trasferiti nel centro di permanenza per il rimpatrio, a questo seguiranno le procedure di deportazione in paesi terzi o nei paesi d’origine. Circa queste procedure non si sono informazioni disponibili e non è nemmeno chiaro quale autorità sarà responsabile delle deportazioni.

Frontex

Si tratta dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera che aiuta i paesi dell’UE a gestire le frontiere esterne.

Un’indagine recente sulla missione Frontex in Albania, condotta dal Fundamental Rights Office (Fro), ha gettato luce su abusi sistematici, pestaggio e morti sospette di migranti avvenuti tra il dicembre 2022 e il gennaio 2023 per mano della polizia albanese, la stessa che avrà il compito di gestire la sicurezza esterna dei centri.

In particolare, i maltrattamenti consistono in percosse e altre attività disumane come per esempio la rimozione forzata delle scarpe e mantenimento dei migranti a piedi nudi al freddo.

Vi sono state anche dei presunti decessi di migranti presso il centro di registrazione ed alloggio temporaneo in cui lavora l’agente whistleblower che non sono stati segnalati come tali alle autorità competenti.

Un altro episodio di violenza che si legge nel report è avvenuto il 4 giugno 2022, in cui agente Frontex ha accusato un collega di aver agito “in modo non professionale ed inumano” quando ha intercettato due migranti in territorio albanese e “li ha appesi fuori dal suo veicolo e trasportati in quella posizione”. Alla domanda sul perché di tale comportamento, lui rispose, “sono dei cazzo di migranti”.

Le accuse sono state considerate plausibili dal Fro, ma nessun provvedimento è stato preso.

Di segnalazioni di questo tipo ne arrivano diverse ogni anno e la maggior parte riguardano i respingimenti collettivi verso la Grecia, e possiamo anche evincere che presto riguarderanno anche i centri previsti dal Protocollo Italia-Albania. Ricordiamo inoltre che nell’accordo firmato nel 2018 tra l’Agenzia Frontex e l’Albania viene assicurata allo staff l’immunità in territorio albanese durante il loro operato.

Le criticità

Oltre alla non trasparenza circa le modalità con cui verrà condotto il c.d. screening per il riconoscimento della idoneità alla partenza (uomini non vulnerabili e provenienti da paesi sicuri), delle modalità di esercizio del diritto alla difesa e del rimpatrio, sorgono diversi altri rischi.

Primo tra tutti il rischio di violazione del diritto alla vita e all’integrità fisica, infatti l’accordo non agisce attraverso canali regolari e sicuri, di fatto, dunque, costituendo una violazione degli standard internazionali di ricerca e soccorso, in particolare del dovere di sbarcare le persone nel primo porto sicuro.

Inoltre, l’accordo prevede la detenzione automatica di chi viene trasferito, a prescindere dalla richiesta di Asilo. Questa detenzione arbitraria, che può durare fino a 18 mesi, è disincentivata dal diritto internazionale che la ritiene una eccezione e deve essere convalidata dal giudice sulla base di valutazioni individuali.

Infatti, il tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei 12 migranti trasferiti in Albania nei giorni scorsi, contestando particolarmente l’utilizzo automatico del criterio del paese di origine sicuro. Proprio su questo tema si era espressa la Corte di giustizia dell’Unione europea affermando che uno Stato può essere definito sicuro soltanto se rischi di persecuzioni, violenze e violazioni dei diritti sono assenti in modo generale ed uniforme su tutto il territorio.

Le politiche di esternalizzazione delle frontiere

Evinciamo, dunque, che queste politiche sono volte alla esternalizzazione delle frontiere, ossia un processo attraverso il quale uno Stato sposta la propria frontiera al di là dei propri confini politici, affidando la protezione del confine esternalizzato a paesi ed attori terzi.

L’esternalizzazione delle frontiere viene presentata come la soluzione più logica ed efficace al fenomeno migratorio, sostenuta da tre principali argomentazioni:

sicurezza, che interpreta le migrazioni come una minaccia, giustificando così il rafforzamento dei confini esterni;
approccio umanitario, che vede le morti in mare come tragedie e promuove il blocco delle partenze come misura per prevenirle;
cooperazione allo sviluppo, che punta ad aiutare le persone a costruire un futuro nei loro paesi di origine, riducendo così la necessità di migrare.

Da questo quadro, dunque, emergono tre soggetti: gli stati che praticano l’esternalizzazione (gli eroi), i migranti (le vittime) ed i trafficanti (i criminali): i primi salvano vite, stimolano lo sviluppo dei paesi terzi e proteggono le frontiere europee, i secondi vengono salvati ma soprattutto ridotti a mezzi di propaganda e gli ultimi disincentivati.

Questa narrazione omette deliberatamente le numerose violazioni dei diritti umani subite dai migranti e le tragedie in mare, entrambe conseguenze della mancanza di canali legali di migrazione, promossi in questo contesto dall’UE.
Un simile approccio trascura ogni considerazione etica e di giustizia sociale ed è profondamente fuorviante, poiché alimenta l’illusione che politiche più restrittive possano fermare i flussi migratori.
Sarebbe invece più realistico riconoscere che la migrazione è una realtà che esiste e che non può essere fermata, si tratta di un fenomeno da affrontare con politiche orientate alla gestione responsabile e rispettosa dei diritti umani, nonché del suo contesto giuridico.