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I dati

Secondo l’analisi suicidi in carcere dell’anno 2024 (aggiornato al 30 Giugno) del Garante Nazionale per i privati della libertà i suicidi sono stati 47, 13 in più rispetto a giugno 2023.  

Analizziamo più precisamente questi dati: 45 di essi erano uomini, due di loro donne, di cui 26 italiani e 21 stranieri, provenienti da 14 diversi paesi. Per quanto concerne la fascia di età la media è di circa 39,5 anni. 

Altro dato emerso molto interessante concerne la durata della permanenza presso l’Istituto nel quale è avvenuto l’evento: 24 persone, pari al 51%, si sono suicidate nei primi sei mesi di detenzione, 6 entro i primi 15 giorni e 3 di questi addirittura entro i primi 5 giorni. 

In più, è stata rilevata in alcuni casi la presenza di eventuali fattori indicativi di fragilità o vulnerabilità; infatti 21 persone erano già state protagoniste di altri eventi critici e 11 di queste avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio. 

Ulteriore ed ultimo dato interessante per lo studio del fenomeno in questione è la tipologia di strutture in cui si trovavano le vittime: delle totali 35 strutture in cui si sono verificati questi tragici eventi, 29 erano case circondariali e 6 erano case di reclusione. Un dato significativo poiché indica come la maggior parte delle persone che hanno commesso un suicidio nell’ultimo anno fino a giugno 2024 si trovavano in attesa di giudizio oppure erano state condannate a pene non superiori a 5 anni, mentre gli altri 6 erano stati condannati con una sentenza definitiva o ad una pena superiore ai 5 anni.   

Il caso di Youssef

L’ultimo di questi tragici eventi che ha fatto più scalpore è stato quello di Youssef Mokhtar Loka Barsom, detenuto di 18 anni.

Youssef era un ragazzo di origine egiziana, che all’età di 15 si è trovato in un campo di concentramento libico. Aveva raggiunto l’Italia con un barcone, dove ha passato tutto il viaggio legato con mani e piedi nel bagno. 

Dopo l’arrivo nel nostro paese aveva commesso, da minorenne, due rapine, ma dopo essere stato sottoposto ad una perizia psichiatrica che accertò la sua incapacità di intendere e volere, gli fu applicata una misura di sicurezza che prevedeva la permanenza e la cura in una comunità terapeutica. 

Scappò dall’ultima comunità e si diresse verso Milano, lì commise la sua terza rapina e fu inizialmente respinta la richiesta di perizia psichiatrica richiesta dal suo legale. A quel punto, Youssef ormai maggiorenne, venne recluso nella casa circondariale di San Vittore, in attesa di giudizio.  

Milano, con i suoi tre istituti penitenziari per adulti e l’istituto penale per minorenni Beccaria, è la città italiana con il sistema penale e penitenziario più esteso e articolato del paese.

Ed è proprio San Vittore ad essere uno degli istituti penitenziari più sovraffollati in Italia, secondo Antigone presenta un tasso di sovraffollamento di oltre il 200 per cento.

Nella notte tra il 5 ed il 6 settembre, in segno di protesta, Youssef diede fuoco al suo materasso e rimase bloccato nel bagno della sua cella, dove piano piano il fuoco cominciò a dilagare finché non lo raggiunse e mise fine alla sua vita.  

Aveva 18 anni, non aveva mai imparato a leggere e scrivere, non aveva mai preso in mano una penna; la sua fragile salute mentale era stata già accertata, eppure ha perso la vita nel luogo che per lui fu dichiarato inidoneo ed incompatibile, ha perso la vita cercando di protestare e lottare per condizioni di vita migliori per sè e per i suoi compagni detenuti.  

La risposta del Governo

Ma ad oggi, come si sta muovendo il nostro attuale Governo per risolvere queste enormi criticità ed evitare questi eventi tragici? Semplice, implementando reati e criminalizzando i diritti costituzionali degli individui.  

Infatti, il 18 settembre fu approvato dalla Camera il Disegno di Legge n* 1660 sulle disposizioni in materia di sicurezza pubblica, altrimenti chiamato DDL Sicurezza.  

Il disegno prevede l’introduzione di diversi nuovi reati, alcuni dei quali prevedono anche delle riforme all’ordinamento penitenziario. Vediamone una nello specifico.

L’art. 26 

L’art. 26 del DDL prevede la modifica dell’art. 415 del codice penale e l’introduzione dell’art. 451-bis nel medesimo codice, per il rafforzamento della sicurezza degli istituti penitenziari.  

Ad oggi l’art. 451 prevede che chiunque istighi pubblicamente alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico è punito con il carcere da sei mesi a cinque anni. Con l’introduzione del citato art. 451-bis, così come previsto dal DDL, le suddette pene aumentano (non è indicato di quanto) se il reato in questione è commesso in un istituto penitenziario oppure nelle comunicazioni dirette a detenuti.  

Ma non è solo questo, viene anche introdotto il nuovo reato di Rivolta all’interno di un istituto penitenziario, secondo cui chiunque, all’interno di tali istituti, partecipi ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi da tre o più persone riunite, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.  

Ma quali sono questi atti di resistenza? Non solo la resistenza attiva, ma anche quella passiva se impedisce il compimento di atti d’ufficio necessari alla gestione dell’ordine nel carcere. 

E di esempi, possiamo farne molto altri e tutti altrettanto repressivi.

Quindi, ricapitolando, se il problema è che ci sono troppe persone in carcere, e di conseguenza le condizioni di vita risultano disumane, la soluzione è sopprimere ulteriormente i diritti dei detenuti e condannarli ad ulteriori anni di carcere. 

Invece di risolvere i problemi che scaturiscono in proteste, si decide di reprimere la protesta e chi osa parteciparvi. 

Dunque, ai detenuti cosa rimane? Nulla, l’unica cosa che potranno ancora fare è soffrire, ma da adesso dovranno farlo nel silenzio più assoluto, quello stesso silenzio assordante che ha probabilmente sentito Youssef quando ha capito che la sua vita sarebbe finita tra quelle fiamme e che nessuno sarebbe venuto a salvarlo.  

Il DDL è stato approvato dalla Camera ed attualmente è in mano al Senato che dovrà votarlo, e se si esprimerà favorevolmente il disegno diventerà legge. Questo dovrebbe spaventarci tutti perché ci tocca tutti, non saranno solo le proteste penitenziarie ad essere soppresse, ma anche quelle studentesche e dei lavoratori. 

Populismo Penale

Dal 2018 ad oggi sono stati introdotti circa 28 nuovi reati e 45 articoli del codice penale sono stati modificati. Durante l’attuale legislazione, insediatasi 2 anni fa, sono stati introdotti 8 nuovi reati. 

Perché il nostro è diventato uno Stato che criminalizza, uno Stato liberticida, che decide non di risolvere ma di punire.

In uno Stato in cui la soluzione alle criticità sociali ed economiche è la repressione penale nessuno e nessun diritto, seppur costituzionalmente garantito, è al sicuro.

 Fonti: